Quando l'anno scorso lessi che tra le uscite del 2012 figurava un film di Wim Wenders in 3D su Pina Bausch rimasi tra il perplesso ed il divertito. La scelta del 3D per 'presentare' una coreografa e ballerina aveva il suo senso, ma era l'idea del film a confondermi. La curiosità, in ogni caso, era alle stelle. Non avevo mai visto nulla di Pina Bausch fino a quando, qualche anno fa, una illuminata professoressa decise di spiegarmi la semiotica applicandola ai suoi lavori. Fu una specie di illuminazione. Cafè Muller, Full Moon, Le sacre du printemps, Victor, brani estratti da vari altri spettacoli: sapevo chi fosse Pina Bausch, ma la mia riluttanza nei confronti del teatro (e della danza, anche) - dovuta forse a studi noiosi in ambito universitario - non mi aveva mai portata ad approfondire questa consocenza. Corpi che si muovevano pieni di vita ma sofferenti, quasi agonizzanti, composizioni coreografiche che non avevo mai visto, gente 'normale' in abiti normali su quei palchi, non impeccabili ballerini da Lago dei Cigni. Rimasi affascinata, quasi turbata, da quello che vedevo. Purtroppo non ho mai avuto occasione di vedere Pina - o i suoi lavori - dal vivo.
L'altra sera, prima della proiezione alla Festa del Cinema, Wenders ha parlato del film e del suo rapporto con la coreografa scomparsa solo pochi giorni prima dell'inizio delle riprese. Come me, anche Wenders era restio all'idea di sedersi e guardare uno spettacolo di danza. Racconta (sarà vero?) che si trovava a Venezia in vacanza nel 1985, anno in cui il teatro La Fenice proponeva una retrospettiva su 6 opere della Bausch. Fu costretto (o meglio, accettò da bravo gentleman) ad andare ad assistervi dalla sua allora fidanzata. 'Tempo 5 minuti ed ero sul bordo della sedia a piangere come un bambino', dice Wenders.
'My body understood it, my brain took a little while to follow up'. E' vero. Anche senza avere alcuna nozione riguardo le basi teorice (nonchè politico-sociali) della Bausch, assistere (anche solo in video) ai suoi spettacoli è qualcosa che prende alle emozioni senza alcun bisogno di ultieriori informazioni. E' questo il grande pregio di questo piccolo capolavoro di film, non classificabile ne come documentario ne come... altro. Dall'inizio - un'intensa 'sintesi' di Le Sacre du Printemps - si viene proiettati in un mondo fatto di musica e corpi che comunicano. 'Senza il 3D questo film nn esisterebbe'.E' vero. E' forse uno dei pochissimi usi della 'terza dimensione' che hanno veramente senso. La profondità, la corporeità delle coreografie, la purezza dei movimenti arrivano amplificati a chi guarda. E' come stare li, in mezzo a loro.
Wenders alterna esibizioni 'on stage' ad alcuni estratti da lui ambientati in vari luoghi di Wuppertal, dove ha sede il tanztheater, ad alcuni 'ritratti' dei ballerini della compagnia, che raccontano intimamente il loro rapporto con la Bausch. Pina ogni tanto appare, in immagini di archivio che arrivano fino agli ultimi tempi di attività, quando il suo corpo provato dalla malattia ancora ( o forse ancora di più) comunicava emozioni e sofferenza. Immagini e musica si fondono in una maniera incredibile, migliore di qualsiasi altra 'trasposizione' della danza che abbia mai visto in vita mia. E' commuovemente, senza mai diventare patetico.
E' la danza che comunica, non c'è bisogno di altro. Sono restia, anzi ODIO chi abusa del termine 'capolavoro', ma questa volta si può dire senza remore. Poco prima dell'inizio del film Wenders ha chiesto chi degli astanti non avesse mai visto nulla della Bausch, perchè quello è il suo target. Ha ragione, forse. Anche se non avete idea di chi fosse, fatevi un favore ed andate a vedere questo film, ne rimarrete folgorati.