Giornata d’apertura, ore 8.00. L'auditorium è semi-deserto, c'è quel senso di agitazione misto a calma prima della tempesta che aggrava l'alienazione generale. Avevo dimenticato quanto sia confortante chiudersi in una sala cinematografica di primo mattino, dato che uno screening alle 8 del mattino di Darjeeling Limited a Venezia 2007 è l’ulitma proiezione ad orari proibitivi di cui ho memoria. Sul red carpet stanno montando enormi aereoplanini, la Disney presenterà alle scuole Planes (lo sfigato spin off del già mediocre Cars) e ci sono palloncini ovunque.
In bagno incontro 5 modelle in mutande che si cambiano, per indossare delle finte divise da hostess. Un inizio di festival più surreale di così è difficile da immaginare, ed è anche un ottimo fermo-immagine che in se’ racchiude molte delle contraddizioni e caciarate della manifestazione, ma andiamo avanti. Do’ la priorità a Snowpiercer, dato il rischio che questa sia l'ultima occasione di vedere il director's cut (Weinstein vuole tagliare 20 minuti per il pubblico americano, che reputa troppo stupido per comprendere il film - scopriro' solo in seguito che il buon Harvey non ha i diritti per l'italia e da noi il film uscirà in versione integrale). Il consenso generale è positivo, come è giusto che sia, e nel tragitto verso l'uscita incontro un entusiasta Marco Giusti che nel foyer grida al capolavoro. Perdo la proiezione dell'Amministratore di Vincenzo Marra. Il dramma dell'accavallarsi dei film sarà costante, causa anche mancanza di sale - 2 in meno dell'anno scorso. D'altronde, c’è la crisi. Tutti mi parleranno molto bene del documentario, e nonostante le ripetute proiezioni riesco a perderlo ogni singolo giorno. Speriamo in un uscita prossima.
Decido anche di saltare il film di apertura del festival, Veronesi non è mai stato nelle mie corde e ho sonno. In sala stampa trovo un gran caos. Valeriona Marini in un tubino rosso di pelle e tacchi altissimi si mette in posa per chiunque, dai giornalisti divertiti a fan mooolto coatti e curiosi del caso. La giornata diventa sempre più surreale. Tempo un paio d’ore ed arrivano le prime conferenze stampa. Sottotono quella di apertura, Marco Müller dribbla le domande e Ferrari preferirebbe essere altrove. Rimango in sala aspettando le conferenze delle giurie, ma i tempi si dilatano e invece di James Grey e Larry Clark mi si presentano Veronesi, Elio Germano, Ricky Memphis, Procacci, Elisa e co.
Decido di farmi del male e rimango. Ricky Memphis vincitore morale della giornata, non diverso dai personaggi che interpreta, risponde burbero e diretto alle domande, inizio a divertirmi molto. Presente anche il signore romano che ha ispirato la storia del film, e anche lui con la sua schiettezza e romanità di una volta ci fa sorridere. Peccato per Veronesi che la fa molto lunga e tra discorsi democristiani e autocelebrazioni pare un prete all'omelia della domenica. Appartentemente, questo è il suo salto di qualità verso il cinema d’autore (...). Si fa molta fatica, ma il consenso generale sul film sembra positivo. Non lo recupererò, pazienza.
La giornata non offre altre proiezioni interessanti, quindi per risparmiarmi l’inevitabile caos della cerimonia d’apertura vado via. Nel corridoio esterno dell'auditorium ci sono masse accalcate sulle transenne del red carpet. Non c'è nessuno di particolarmente famoso in giornata, quindi mi chiedo cosa sia questo casino... ma sentire due ragazzi che dicono "ao, c'e il tappeto rosso, quindi mo arriva qualcuno de famoso, mettemose la'' mi fa capire come sarà l'andazzo fino alla fine del festival.
SNOWPIERCER, Joon-ho Bong (FC) 126’
Grande co-produzione internazionale, uno dei film più costosi della storia del cinema koreano e primo film in lingua inglese di Joon-ho Bong, questa favola distopica regala uno dei momenti più entusiasmanti di tutto il festival. Una glaciazione globale ha portato l’umanità all’estinzione, gli unici superstiti vivono su un treno che gira a moto perpetuo intorno al mondo da tredici anni. L’idea di trasporre l’interà umanità, classi sociali e ingiustizie annesse, dentro un treno è fantastica. Funzionava bene sulla graphic novel da cui è tratto il film, ma non era affatto scontato che potesse farlo attretanto sullo schermo. Il lavoro che Bong fa è magistrale, specialmente nella prima parte in cui seguiamo le tremende condizini di vita del proletariato del treno, posto in coda tra scarsa igiene, oppressione violenta e fame. Le atmosfere cupe e claustrofobiche vengono rese in maniera asciutta e pulita, movimenti di macchina audaci perlustrano lo spazio e immergono totalmente lo spettatore su questo vagone di terza classe del futuro. Siamo chiusi in uno spazio sovraffollato, ma il film non perde mai ritmo, non stagna, la regia è dinamica ed attenta. Seguiamo Curtis (un sorprendente Chris Evans, che da bamboccione Capt. America riesce qui a reggere il film quasi totalmente sulle spalle e a non farsi annientare dalla vicinanza di John Hurt, Ed Harris e Tilda), determinato a guidare una ribellione che li porterà in testa al treno, dal benevolo e grande Wilford. L’ordine però, come ci ricorderà a più riprese una fantastica Tilda Swinton - primo ministro del treno - è fondamentale per la sopravvivenza dell’intero sistema, ed ogni tentativo di rivolta verrà punito in maniere perverse e violente. Tilda ha un aspetto grottesco da fumettone, i dentoni finti la fanno parlare in modo buffo e la parrucca non aiuta. E’ palese che si sia divertita tantissimo a fare questo personaggio, che nonostante sia tremendamente crudele e codardo strappa grandi risate alla sala.
Continuare a raccontare il film necessiterebbe di troppi spoiler, il plot è lineare ma pieno di piccoli colpi di scena che accompagnano questo viaggio della speranza. Incredibili alcune scene nei vagoni di prima classe, visionarietà, follia e rigore formale vanno mano nella mano, alcune scene di lotta sono tra le più belle che abbia visto da molto tempo a questa parte, le scenografie e la fotografia sono meravigliose (una su tutti, la lunga ed incredibile scena nella sauna dei ricchi).
Joon-ho Bong mi sembra l’unico, almeno quest’anno, che riuscirà a ri-dare valore al cinema di genere, unendo fantascienza, thriller, commedia dell’assurdo, horror, drama, azione in un prodotto formalmente impeccabile, con momenti veramente over the top ed incursioni della follia koreana in uno stile fortemente occidentale. Due ore di intrattenimento puro, dove la linea tra buoni e cattivi non è mai chiara, le rigidità morali del cinema americano sono totalmente assenti, ed è questo uno dei veri punti di forza del film. Sarebbe facile scadere in patetici moralismi, ma nessuno è perfetto, e se la critica sociale è lampante, c’è uno sguardo apologetico nei confronti delle debolezze umane che non lascia spazio ad eroi di nessun tipo. E’ proprio questo, forse, che crea problemi alla distribuzione statunitense. Il personaggio chiave del film compie azioni moralmente deplorevoli, impensabili nel cinema occidentale, ma ne esce come figura positiva, e questo manda in tilt tutti i nostri stilemi di bene e male ed insieme ad essi anche la nostra idea di cinema.
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