giovedì 21 novembre 2013

Festival Internazionale del Film di Roma Day 3: HER

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Perdo Stalingrad 3D, uno dei film (no shame) che più mi interessava vedere. Tre sole proiezioni di cui 2 di domenica alle 9 del mattino ed una in contemporanea alla prima di Her mi impediranno di recuperarlo. Sono ancora molto triste… speriamo che qualche pazzo distributore italiano ne acquisisca i diritti al più presto, anche se vederlo in russo avrebbe avuto tutto un altro gusto. Arrivo sul tardi, la festa di Machete Kills della sera precedente è stata faticosa,  e sono tranquilla perché tanto la giornata per me significa solo Her e Spike Jonze. Nonostante sia domenica e stia per arrivare Scarlett Johansson, nel primo pomeriggio l'auditorium è piuttosto tranquillo (la situazione andrà aggravandosi col passare dei minuti). Arrivo giusto in tempo per la conferenza stampa di Stalingrad. Bondarchuk incute abbastanza terrore con il suo sguardo cattivissimo e una faccia che sembra un mix letale tra Gengis Kahn, Lenin e Tom Hardy in Bronson.
In realtà è molto tranquillo e ha una parlantina letale, le sue risposte non avranno fine. Capto una certa fierezza nel dire che - giustamente! - questo non è un film di ricostruzione storica, ma che sostanzialmente a lui interessava fare un film d'azione con un sacco di botte. Vorrei applaudire, inizio a volergli veramente bene e sono sempre più arrabbiata per aver perso il film. Sia regista che produttore ci terranno poi a specificare che l'appeal internazionale del film è dimostrato dagli incassi record in Cina. Ora ci sarebbe qualcosa da dire sull'usare la Cinacome campione di mercato, ma preferisco godermi questo momento di grande coerenza senza fiatare. Vincitore morale della giornata è Thomas Kretschmann (vedi foto), che proprio non può farcela, sembra accusare postumi peggiori dei miei e sono sicura che a un certo punto si sia addormentato.

 La conferenza finisce e la sala si riempie, è il momento di accogliere Spike, Rooney e Joaquin. Si spera sempre che Mr. Phoenix sia di buon umore e fortunatamente per noi, oggi è in forma smagliante. E' buffo e goffo, fa battute e grandi scene a ogni domanda che gli viene posta, ci tiene tutti in pugno. Spike è adorabile e divertito, Rooney Mara è li ma potrebbe anche non esserci: è bellissima e carina, ma nessuno sembra notarla. Data la quasi irrilevanza del suo personaggio nel film, nessuno le fa delle domande, e si limita a commentare qua e la' le risposte degli altri due. A un certo punto Spike capisce che nessuno le sta prestando attenzione, si alza e trascina la sua sedia al centro.  Il gesto galante non sortirà effetti particolari perché  le vere star (del film e della conferenza) sono lui e Joaquin.
Scherzano, parlano in maniera approfondita del film, del lungo lavoro sulla costruzione del personaggio -  a partire dall'aspetto fisico, quei bizzarri pantaloni a vita altissima, i baffi, la goffaggine. Joaquin sostiene di portare un solo paio di pantaloni ogni giorno (Spike invece ne ha due). Ogni domanda che viene posta al protagonista gli fa esclamare dei lunghi 'FUUUUUUCCCCK!!', ma le risposte arrivano e sono articolate e interessanti. A un certo punto Anselma Dell'Olio prende la parola e fa una lunghissima dichiarazione d'amore per il film. Reputa (giustamente) che sia la vera ventata d'aria fresca del festival, si congratula con tutti e pone solo una domanda 'How the fuck did you do it?' (Continuo a chiedermelo anche io, a 10 giorni dalla proiezione).   Ancora non ho visto il film ma mi fido, convinta che in nessun modo 'Her' potrà deludere le mie aspettative. Un giornalista però non è d'accordo, e scatta la polemicona. Il festival è appena iniziato, non si possono dire cose così. Nessuno vede cosa ci sia di male nell'esprimere una opinione personale, ma i toni si fanno accesi. Spike Jonze è super divertito, chiede insistemente ai due di incontrarsi fuori per fare a botte, così poi lui si mette a riprendere (Jackass style!). Joaquin mostra apprensione, non vuole che nessuno litighi. Io siedo in silenzio, un po' imbarazzata (sempre le solite figure molto italiane) e un po' divertita. L'ufficio stampa riesce a placare gli animi, e andiamo avanti. Ogni tanto Joaquin (tra una sigaretta e l'altra - no fucks given here) bisbiglia cose  all'orecchio di Spike - è veramente preoccupato che nessuno litighi, e vuole essere sicuro che facciano pace. Risate generali. Capto degli spoiler qua e la, ovviamente, ma per mia fortuna la trama non è così elaborata e la fine non mi verrà svelata. (Inizia oggi anche il calvario della pronuncia dei nomi stranieri: sarebbe il caso di fare presente a giornalisti e addetti ai lavori che Spike Jonze non si pronuncia spai gionzi. èLI rot sarà comunque peggio.) Il resto della giornata sarà dominato dall'attesa, forse un po' provinciale,  per  Scarlett Johansson che arriverà - di Dolce e Gabbana vestita - solo per il red carpet di Her. Il caos sarà totale, l'atmosfera abbastanza cafonal (non distante da me Bruno Vespa : mi chiedo quanta della profondità del film sia riuscito a captare) misto a hipster che guarda forse un film all'anno, quello cool che proprio non si può perdere - altrimenti poi di che mi lamento? Come faccio a lasciar trasparire le mie nulle conoscenze di cinema?

The Happy Family


HER - Spike Jonze (C) 120'
Parlare di questo film è molto difficile. Introspettivo, bizzarro, poetico (quasi filosofico),  Her segue una sua traiettoria particolare, sempre coerente a se stessa ma estremamente difficile da 'raccontare'.  La storia la conosciamo tutti. In un futuro non troppo distante, Theodore Twobly si innamora del suo nuovo sistema operativo. Per quanto assurdo possa sembrare, siamo in un mondo in cui l'alienazione e la solitudine trovano conforto in queste intelligenze artificiali che diventano amici, confidenti ed amanti. In conferenza stampa un giornalista faceva giustamente notare che l'aspetto più bizzarro (forse) di tutto il film è la maniera candida in cui i personaggi ammettono di 'avere una relazione' con il proprio O.S. E' assolutamente vero, ma nonostante tutto (e con una buona dose di sospensione dell'incredulità) all'interno del mondo costruito da Spike funziona, ha un suo senso.  Ogni singolo elemento di questo universo ha un posto ben preciso, nulla è fuori posto, la coerenza che permea la sceneggiatura è il punto di forza del film. Prima prova da sceneggiatore per Spike Jonze, che in queste 2 ore racchiude tantissime (se non tutte) delle piccole meraviglie che l'hanno reso uno dei più geniali artisti della sua generazione. La malinconia e la solitudine di Theo si possono ritrovare un po' ovunque nei suoi passati lavori. I'm Here è la prima cosa che viene alla mente, la Los Angeles retrofuturistica in cui ci troviamo qui non è così diversa da quella in cui abita il robottino triste del cortometraggio, e la necessità di amare ed essere amati è la stessa. Un futuro-vintage che grazie a fotografia, scenografie e costume design si fa concreto davanti ai nostri occhi. I tagli dei vestiti ricordano gli anni 40, i colori sono accesi e spenti allo stesso tempo, la luce diffusa rende tutto ovattato, un po' come la storia tra Theodore e Samantha. Di contrappunto a questa tenerezza sono però le forti, improvvise incursioni dello Spike Jonze eterno adolescente, con un certo gusto per la volgarità bonaria, ed ecco un videogioco che ti manda affanculo e insulta tutti (adorabile e dispettoso, uno dei momenti più belli del film), disegnini osceni e trivialità varie che smorzano costantemente i toni malinconici. La riflessione sull'innamoramento, sul nostro ricercare qualcuno che ci sia vicino è profonda, viene da chiedersi cosa cerchiamo e se quello che ci attrae non è altro che una proiezione di noi stessi, o forse quello che vorremmo essere. Ci sono dei punti in cui la stranezza del tutto raggiunge picchi incredibili ma Spike non si perde mai, calca molto la mano (vedi: quando Samantha pensa di aver trovato una soluzione al sesso virtuale che per forza di cose la coppia è costretta a fare) ma senza eccedere. E Joaquin, per una volta in un ruolo dimesso ed introspettivo, da' il meglio di se. Primi piani strettissimi, occhioni pieni di tristezza che guardano nel nulla, una fisicità ridimensionata, tutto concorre a renderla una delle sue interpretazioni migliori di sempre, incredibilmente emotivo ma sempre tenero e contenuto. Molto brava anche Scarlett, che forse non meritava il premio ricevuto al festival ma che ha fatto un lavoro incredibile - dare 'corpo' a  una voce persa nell'etere è quasi impossibile, ma spesso nel film pare quasi di vederla li, accanto a lui. Abbastanza inutile la figura di Rooney Mara, bellissima ed eterea ma molto marginale, giusto un  ricordo onirico della passata felicità del nostro protagonista.
Ad amalgamare il tutto c'è la musica, non particolarmente originale (molto di maniera, ci si poteva aspettare meglio dagli Arcade Fire) ma che funziona con la sua delicatezza (da notare il nucleo originale di 'Supersymmetry', dal nuovo Reflektor, nato come leitmotiv del film e successivamente sviluppato in brano intero). Bellissima anche la canzone che Samantha 'scrive' per Theodore, la stessa che si sente nel trailer del film (cantanta da Karen O). Un viaggio a tratti straziante nella solitudine umana, che fa della stranezza 'dimessa' il suo punto di forza (ad iniziare dalla prima scena, in cui scopriamo che di lavoro Joaquin-Theo scrive lettere intime e personali per conto di terzi, per beautifulhandwrittenletters.com - o qualcosa di simile). Unica pecca, l'eccessiva durata di alcune scene che rallentano di molto il ritmo - 10 minuti in meno forse avrebbero giovato. Sicuramente uno di quei film che si amano o si odiano, ma che consiglio di vedere con gli occhi di un bambino (o di uno spettatore del cinema primitivo) perché è così bello far cadere le nostre sovrastrutture da stronzi cinici almeno una volta ogni tanto.

mercoledì 20 novembre 2013

Festival Internazionale del Film di Roma, Day 2 - Dallas Buyers Club

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La seconda giornata del festival per me inizia molto tardi. Perdo tutte le proiezioni della giornata, saltando anche il film di Alex de La Iglesia, a detta di tutti molto divertente. Dopo aver scoperto, con un certo disappunto, che Matthew McConaughey non presenzierà alla prima di Dallas Buyers Club (e quindi anche alla conferenza stampa), me la prendo comoda ed arrivo nel pomeriggio. Grazie al grande annuncio dell'organizzazione del festival della presenza di Jared Leto e dei 30 seconds to mars (che però, in realtà, non saranno presenti), l'auditorium ricorda una pittoresca puntata di South Park sugli Emo. Nel tragitto dal parcheggio  all'entrata incontro le prime capigliature improbabili accompagnate da lunghi mantelli di velluto. A ridosso delle transenne del red carpet una importante folla di adolescenti urlanti (urleranno tutto il giorno, per motivi ancora non chiari) attende con impazienza la venuta del loro dio. E' strana la traiettoria di Jared Leto, attore neanche pessimo, (vero Dorian Grey dei nostri giorni che nonostante abbia superato i 40 anni ha ancora le sembianze di un ventenne belloccio) che a un certo punto ha deciso di reinventarsi rockstar. Producendo una musica di infima qualità e conciandosi come un idiota, è riuscito a crearsi un seguito inquietante di teenagers adoranti, una sorta di justin bieber alternative-pop. Perdo la sua conferenza stampa, dove a quanto pare è stato molto simpatico e disponibile. Nell'attesa della prima del film mi sistemo in sala stampa- essendo sabato c'è un gran caos ovunque e questa diventerà una piccola isola felice, a riparo da ragazzini urlanti e dal gran sfilare di personaggi da cafonalino. Dalla mia postazione, a un certo punto mi sembra di vedere dei fiocchi di neve nella cavea. Penso di iniziare ad avere delle traveggole da stanchezza, e mi rimetto a lavorare. Tempo un quarto d'ora, e fuori sta VERAMENTE nevicando. Sempre più confusa, vado a dare un'occhiata. Questa è la scena che trovo avanti ai miei occhi:
Mi ricordo della presentazione del film in live-action di Belle e Sebastien, e tutto inizia ad avere un senso. Un cartone animato che mi metteva angoscia anche a 5 anni non stuzzica affatto il mio interesse, ma questa atmosfera da circo mi diverte. Gli emo urlano (come al solito), i curiosi del sabato fanno foto, e io rido. L'anteprima di Dallas si avvicina, e vado a prendere una cosa da bere nei dintorni. Un boato che ricorda il decollo di uno shuttle ci avverte che Jared Leto è arrivato, è quindi tempo di prendere posto in sala. Sarà la mia prima serata di gala di questa edizione, e vedo con piacere che la solita atmosfera da Cafonal è molto ridimensionata. Certo, la grande difficoltà ad uscire a fine proiezione causa curiosi che (PER TUTTO IL TRAGITTO FINO AL PARCHEGGIO) placcheranno Raz Degan e  Paola Barale (…) per delle foto e degli autografi (sì, autografi) sarà imbarazzante, ma per il resto nulla da segnalare.
Ero molto scettica riguardo a questo film. Le grandi trasformazioni fisiche di attori mediamente dotati puzzano sempre di voglia di oscar e niente più. Tutti avevamo visto le foto disturbanti dell'incredibile perdita di peso di McConaughey, ma il rischio di patetismo della storia era alto, e quindi affronto il film con un certo disinteresse e molti preconcetti. Tempo 20 minuti di film e dobbiamo tutti ricrederci: la performance di M.M. è impressionante sotto tutti i punti di vista, e il film funziona alla grande. Lunghi applausi a fine film, seguito da una premiazione da parte di Vanity Fair per l'eccellenza filmica, ritirato da un divertito Jared Leto (con annesse urla ultrasoniche dei fan presenti in sala).


Dallas Buyers Club - Jean-Marc Vallée ( C ) 117'

Certo, la curiosità per il film c'era. Un Matthew McConaughey smunto, dimagrito (quasi irriconoscibile in molte scene del film) e una storia vera che tocca un'argomento che post anni 90 i media sembrano aver dimenticato del tutto. In ogni caso non mi bastava, non riuscivo a trovare un enorme interesse, il regista non aveva ancora mai dato grandi prove di abilità e come dicevo sopra, il rischio patetismo era altissimo. Dover rivedere le proprie posizioni, però, è una delle cose più belle che possono succedere durante la visione di un film.
I primi trenta minuti di questo biopic sono una delle cose più belle che vedrò al festival. Ron beve come un disperato, si droga, partecipa a menage a trois,  scommette, scappa divertito da creditori, è ignorante, rozzo, sessista ed omofobo. Questo cowboy scazzato e i suoi amici redneck sono lì e fanno quello che vogliono, nulla sembra disturbare le loro esistenze. Un'apertura senza mezzi termini, con un'ottima fotografia (in seguito premiata al festival) ed un montaggio serrato, che in poche scene ci dice già tutto quello che c'è da sapere su questo anti-eroe del profondo sud degli Stati Uniti.  Sarà un incidente sul lavoro a portare Ron in ospedale, e da qui in poi la sua esistenza  non sarà più la stessa. Siamo agli albori dell'epidemia di AIDS che ha imperato negli anni 80, e tanto la gente comune quanto i medici navigano in un misto di pregiudizi ed ignoranza. Mr. Macho Man non prenderà affatto bene la sentenza di morte che gli viene annunciata senza mezzi termini. Ha così inizio una lunga lotta per la sopravvivenza, che il regista (aiutato da una sceneggiatura forte) riesce a non far MAI scivolare nel patetico o nel moralista. La ruvidezza del film è il suo punto forte: così come il suo protagonista, Dallas Buyers Club non scende mai a compromessi, smussa i suoi lati più spigolosi ma rimane saldamente fedele a se stesso. L'amicizia con il travestito Rayon (un Jared Leto sorprendente, che dribbla costantentemente il rischio di diventare maschiettistico) è commuovente, sì, ma nei limiti e nei termini del personaggio.
Ci sono momenti estremamente intensi in cui tristezza e rabbia prendono il sopravvento, ma sono sempre stemperati dalla complessità di questo controverso personaggio, sempre in bilico tra il giusto e lo sbagliato. Vallè non calca mai la mano (anche quando forse dovrebbe), evita giudizi o punti di vista forzati. In alcuni momenti del film mi sono chiesta che capolavoro sarebbe potuto diventare se dietro la macchina da presa ci fosse stat qualcuno di più audace, ma va bene lo stesso. La regia troppo di maniera viene controbilanciata da sceneggiatura e interpretazioni fantastiche, rendendo il film uno dei preferiti in assoluto di stampa e pubblico. Vincerà molti premi al festival e direi che la vittoria dell'Oscar per McConaughey è abbastanza scontanta, a meno che l'Academy non decida di premiare Chiwetel Ejiofor per 12 years a slave. Staremo a vedere.

domenica 17 novembre 2013

Festival Internazionale del Film di Roma, Day 1 - Snowpiercer

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Giornata d’apertura, ore 8.00. L'auditorium è semi-deserto, c'è quel senso di agitazione misto a calma prima della tempesta che aggrava l'alienazione generale. Avevo dimenticato quanto sia confortante chiudersi in una sala cinematografica di primo mattino, dato che uno screening alle 8 del mattino di Darjeeling Limited a Venezia 2007 è l’ulitma proiezione ad orari proibitivi di cui ho memoria. Sul red carpet stanno montando enormi aereoplanini, la Disney presenterà alle scuole Planes (lo sfigato spin off del già mediocre Cars) e ci sono palloncini ovunque.
In bagno incontro 5 modelle in mutande che si cambiano, per indossare delle finte divise da hostess. Un inizio di festival più surreale di così è difficile da immaginare, ed è anche un ottimo fermo-immagine che in se’ racchiude molte delle contraddizioni e caciarate della manifestazione, ma andiamo avanti. Do’ la priorità a Snowpiercer, dato il rischio che questa sia l'ultima occasione di vedere il director's cut (Weinstein vuole tagliare 20 minuti per il pubblico americano, che reputa troppo stupido per comprendere il film - scopriro' solo in seguito che il buon Harvey non ha i diritti per l'italia e da noi il film uscirà in versione integrale). Il consenso generale è positivo, come è giusto che sia, e nel tragitto verso l'uscita incontro un entusiasta Marco Giusti che nel foyer grida al capolavoro. Perdo la proiezione dell'Amministratore di Vincenzo Marra. Il dramma dell'accavallarsi dei film sarà costante, causa anche mancanza di sale - 2 in meno dell'anno scorso. D'altronde, c’è la crisi. Tutti mi parleranno molto bene del documentario, e nonostante le ripetute proiezioni riesco a perderlo ogni singolo giorno. Speriamo in un uscita prossima.
Decido anche di saltare il film di apertura del festival, Veronesi non è mai stato nelle mie corde e ho sonno. In sala stampa trovo un gran caos. Valeriona Marini in un tubino rosso di pelle e tacchi altissimi si mette in posa per chiunque, dai giornalisti divertiti a fan mooolto coatti e curiosi del caso. La giornata diventa sempre più surreale. Tempo un paio d’ore ed arrivano le prime conferenze stampa. Sottotono quella di apertura, Marco Müller dribbla le domande e Ferrari preferirebbe essere altrove. Rimango in sala aspettando le conferenze delle giurie, ma i tempi si dilatano e invece di James Grey e Larry Clark mi si presentano Veronesi, Elio Germano, Ricky Memphis, Procacci, Elisa e co.
Decido di farmi del male e rimango. Ricky Memphis vincitore morale della giornata, non diverso dai personaggi che interpreta, risponde burbero e diretto alle domande, inizio a divertirmi molto. Presente anche il signore romano che ha ispirato la storia del film, e anche lui con la sua schiettezza e romanità di una volta ci fa sorridere. Peccato per Veronesi che la fa molto lunga e tra discorsi democristiani e autocelebrazioni pare un prete all'omelia della domenica. Appartentemente, questo è il suo salto di qualità verso il cinema d’autore (...). Si fa molta fatica, ma il consenso generale sul film sembra positivo. Non lo recupererò, pazienza.
La giornata non offre altre proiezioni interessanti, quindi per  risparmiarmi l’inevitabile caos della cerimonia d’apertura vado via. Nel corridoio esterno dell'auditorium ci sono masse accalcate sulle transenne del red carpet. Non c'è nessuno di particolarmente famoso in giornata, quindi mi chiedo cosa sia questo casino... ma sentire due ragazzi che dicono "ao, c'e il tappeto rosso, quindi mo arriva qualcuno de famoso, mettemose la'' mi fa capire come sarà l'andazzo fino alla fine del festival.

SNOWPIERCER, Joon-ho Bong (FC) 126’ 
Grande co-produzione internazionale, uno dei film più costosi della storia del cinema koreano e primo film in lingua inglese di Joon-ho Bong, questa favola distopica regala uno dei momenti più entusiasmanti di tutto il festival. Una glaciazione globale ha portato l’umanità all’estinzione, gli unici superstiti vivono su un treno che gira a moto perpetuo intorno al mondo da tredici anni. L’idea di trasporre l’interà umanità, classi sociali e ingiustizie annesse, dentro un treno è fantastica. Funzionava bene sulla graphic novel da cui è tratto il film, ma non era affatto scontato che potesse farlo attretanto sullo schermo. Il lavoro che Bong fa è magistrale, specialmente nella prima parte in cui seguiamo le tremende condizini di vita del proletariato del treno, posto in coda tra scarsa igiene, oppressione violenta e fame. Le atmosfere cupe e claustrofobiche vengono rese in maniera asciutta e pulita, movimenti di macchina audaci perlustrano lo spazio e immergono totalmente lo spettatore su questo vagone di terza classe del futuro. Siamo chiusi in uno spazio sovraffollato, ma il film non perde mai ritmo, non stagna, la regia è dinamica ed attenta. Seguiamo Curtis (un sorprendente Chris Evans, che da bamboccione Capt. America riesce qui a reggere il film quasi totalmente sulle spalle e a non farsi annientare dalla vicinanza di John Hurt, Ed Harris e Tilda), determinato a guidare una ribellione che li porterà in testa al treno, dal benevolo e grande Wilford. L’ordine però, come ci ricorderà a più riprese una fantastica Tilda Swinton - primo ministro del treno - è fondamentale per la sopravvivenza dell’intero sistema, ed ogni tentativo di rivolta verrà punito in maniere perverse e violente. Tilda ha un aspetto grottesco da fumettone, i dentoni finti la fanno parlare in modo buffo e la parrucca non aiuta. E’ palese che si sia divertita tantissimo a fare questo personaggio, che nonostante sia tremendamente crudele e codardo strappa grandi risate alla sala.
Continuare a raccontare il film necessiterebbe di troppi spoiler, il plot è lineare ma pieno di piccoli colpi di scena che accompagnano questo viaggio della speranza. Incredibili alcune scene nei vagoni di prima classe, visionarietà, follia e rigore formale vanno mano nella mano, alcune scene di lotta sono tra le più belle che abbia visto da molto tempo a questa parte, le scenografie e la fotografia sono meravigliose (una su tutti, la lunga ed incredibile scena nella sauna dei ricchi). Joon-ho Bong mi sembra l’unico, almeno quest’anno, che riuscirà a ri-dare valore al cinema di genere, unendo fantascienza, thriller, commedia dell’assurdo, horror, drama, azione in un prodotto formalmente impeccabile, con momenti veramente over the top ed incursioni della follia koreana in uno stile fortemente occidentale. Due ore di intrattenimento puro, dove la linea tra buoni e cattivi non è mai chiara, le rigidità morali del cinema americano sono totalmente assenti, ed è questo uno dei veri punti di forza del film. Sarebbe facile scadere in patetici moralismi, ma nessuno è perfetto, e se la critica sociale è lampante, c’è uno sguardo apologetico nei confronti delle debolezze umane che non lascia spazio ad eroi di nessun tipo. E’ proprio questo, forse, che crea problemi alla distribuzione statunitense. Il personaggio chiave del film compie azioni moralmente deplorevoli, impensabili nel cinema occidentale, ma ne esce come figura positiva, e questo manda in tilt tutti i nostri stilemi di bene e male ed insieme ad essi anche la nostra idea di cinema.